Avete mai visto e toccato con mano
piccole – grandi magie in cartapesta che si insinuano dentro meandri di
uncinetto?
Io sì. E benedico quel santo giorno in
cui, anziché navigare con la mia canoa monoposto nel mar Mediterraneo, restai a
casa per un brutto mal di schiena e navigai in quello di internet.
Nel caos di notizie politiche, forum
pieni di domande e risposte inutili, oggetti artistici di dubbio, cattivo e
buon gusto e pubblicità di compagnie telefoniche che promettevano altre
navigazioni gratis, mi imbattei in “Lanapesta”, Borse Monili dell’attrice
Marina Suma e un emerita sconosciuta di nome Simonetta Russotto.
Mi parve di vedere giochi d’artificio senza
sentirne il rumore e spinta da una fortissima curiosità che non mi faceva stare
più nella pelle contattai le artefici di queste nuove meravigliose stramberie
per chiedere ulteriori lumi.
Domandai innanzitutto: posso averne una?
Una qualsiasi! Saltando la fatidica e spesso invadente domanda che non ti fa
guardare oltre il naso e che recita così: come sono fatte?
Mi venne risposto di sì, che le potevo
guardare da vicino ed eventualmente sceglierne una.
Così mi recai festosa e croccante come
un cono algida degli anni Settanta all’appuntamento e guardando tutto quel
bendidio la prima cosa che mi venne da fare fu chiedere il permesso di ficcare
il naso dentro una delle borse. Sentii odore di spago e seta dall’oriente,
persino quello dell’acqua di mare, mentre tenevo gli occhi chiusi. Quando li
riaprii vidi nuovamente i giochi d’artificio che mi piacevano tanto quando
portavo ancora i calzettoni bianchi e le scarpette blu da scolaretta un po’
viziata, e invece erano tempeste di cartapesta, coloratissime, croccanti come
me in quel momento, e mi parvero più preziose di certi diamanti, rubini, oro e
smeraldi venduti su questa Terra (chissà mai perché) un occhio della testa.
Questi magici giochi d’arte a tinte
forti spaziavano dal turchese mare di un’ isola desertica, all’arancio di un tramonto
settembrino, dal violetto di certe nubi al mattino, al verde di prati mai
calpestati e silenziosi, constatai di persona che erano incastrati quasi in
maniera naturale dentro e fuori parti costruite all’uncinetto. Parti che
presentavano forme irregolari, tridimensionali e a volte bislacche al punto tale che mi sembrò
di trovarmi sulle montagne russe. Me ne innamorai.
Sono una collezionista di bellezza
esclamai dopo il mio sali-scendi e ho trovato finalmente la mia isola, non
voglio più andare via. Udii una risata calorosa e familiare e anche un invito a
cena per una spaghettata improvvisata, accettai…
Come andò a finire? Che me ne portai
dietro un bel po’, per l’esattezza riempii quel sacco di tela di iuta che
portavo sempre in spalla insieme alla mia inseparabile armonica e ai pochi
indumenti nel caso mi fosse venuta l’idea di dormire da qualche parte che non
fosse casa mia. Anche sotto la volta celeste di quella serata in cui qualcuno
dall’alto stava spargendo fluorescente polvere magica.
Erano le mie stelle.
Bice l’ammiratrice
Un bel racconto.
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